Gioco delle Tre Carte: 82 morti è piu’ a rischio di 492!!!

Anzitutto, lo scrivo una prima volta:

LE MORTI SUL LAVORO NON SONO UN PROBLEMA DI GENERE SE SI PARLA DI NUMERI ASSOLUTI, MA SONO UN PROBLEMA DI GENERE SE SI PARLA DI PERCENTUALI!!!

😀 LOL 😀

Et voilà:

Sulla strada sono le donne a rischiare di più. La differenza di genere viene confermata considerando la categoria più ampia degli infortuni “fuori azienda”, nella quale gli infortuni in itinere si sommano a quelli avvenuti in occasione di lavoro con mezzo di trasporto coinvolto. Nel 2022 l’incidenza degli infortuni “fuori azienda”, è stata di circa il 17% per le donne e del 15% per gli uomini, mentre, per i casi mortali, la percentuale femminile sale al 61,7% (82 decessi sui 133 del 2022) e quella maschile al 44,2% (492 su 1.114). Questa situazione è giustificata sia dalla divisione dei ruoli tra uomini e donne, più impegnate nella cura della famiglia, sia dalla maggiore presenza femminile nelle attività dei servizi rispetto a quelle industriali, prevalentemente affidate agli uomini, soprattutto nei settori ad alto rischio di infortunio.

https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/news-ed-eventi/news/news-dossier-donne-2024.html

😀 LOL 😀

Solito sporco giochetto con le percentuali, i lettori abituali di TIMI riconosceranno al volo che è esattamente il medesimo giochetto che si faceva pure con il “femminicidio” prima del calo dei maschicidi: “21 maschicidi nel 2005 sono irrilevanti rispetto a 54 femminicidi nel 2005, e 22 maschicidi nel 2008 sono irrilevanti rispetto a 66 femminicidi nello stesso anno – in quanto quei 21 e 22 maschicidi sono percentualmente meno sul totale di uomini uccisi”

Stavolta il giochetto con le percentuali lo troviamo in un delirante rapporto pubblicato sul sito ufficiale INAIL e la natura misandrica del giochetto con le percentuali si nota assai di piu’: i morti uomini sono 6 volte maggiori dei morti femmine ma la preoccupazione è tutta per le morti femminili ed il tutto viene giustificato appellandosi alle percentuali…il “bello” di questo giochetto è che si potrebbe fare anche con discrepanze persino molto maggiori, non ci sono limiti: ad esempio – fermi restando 492 morti maschili “fuori dall’azienda” su totali 1.114 morti maschili sul lavoro – se le morti femminili calassero dal totale di 133 a sole 33 di cui “ben” 25 “fuori dall’azienda”: la percentuale di morti femminili fuori dall’azienda sarebbe ancora maggiore e quindi fonte di ulteriore preoccupazione!!! 😀 LOL 😀

D’altronde, che pretendete? 82 è BEN il 61,7% di 133, che cazzo pretendete attenzione voialtri maski che state solo al 44,7%??? 😀 LOL 😀

E NOTATE BENE, lo scrivo per la seconda volta:

LE MORTI SUL LAVORO NON SONO UN PROBLEMA DI GENERE SE SI PARLA DI NUMERI ASSOLUTI, MA SONO UN PROBLEMA DI GENERE SE SI PARLA DI PERCENTUALI!!!

Lo dimostrano i dati sugli infortuni in itinere, nel tragitto di andata e ritorno dal luogo di lavoro, che, nonostante il ridimensionamento dovuto al ricorso allo smart working nel triennio 2020-2022, in termini relativi restano sempre più elevati per le donne rispetto agli uomini. Evidente il divario per le denunce con esito mortale: l’incidenza tra le lavoratrici nel 2022 è di circa un decesso su due, con 64 casi su 133, mentre per gli uomini il rapporto scende a poco meno di uno su quattro, con 272 decessi su 1.114.

Notare poi che qui sopra fanno pure la distinzione tra “infortuni fuori azienda” e “Infortuni in intinere” ma il giochetto resta tale: “in termini relativi” 64 sarebbe piu’ preoccupante di 272!!! 😀 LOL 😀

Eh, lo so che sono noioso, ma mi ripeto per la terza volta:

LE MORTI SUL LAVORO NON SONO UN PROBLEMA DI GENERE SE SI PARLA DI NUMERI ASSOLUTI, MA SONO UN PROBLEMA DI GENERE SE SI PARLA DI PERCENTUALI!!!

😀 LOL 😀

Più frequenti tra le donne i disturbi psichici. Si distinguono per consistenza della quota femminile sul totale delle denunce nella stessa patologia, i disturbi psichici e comportamentali e le malattie della cute, rispettivamente con il 52% e il 40%. In particolare, nel 2022, i disturbi psichici sono stati denunciati in misura simile da entrambi i sessi, con 195 casi per le donne e 183 per gli uomini, ma per le lavoratrici la percentuale sul totale delle loro malattie è dell’1,2%, il triplo di quella dei lavoratori, pari allo 0,4%.

Non mi stupisce affatto che vi siano piu’ disturbi psichici nella categoria “donna”, visto che il termine “donna” va necessariamente associato a qualcosa di delirante che millanta di essere “piu’ a rischio dell’altra parte” anche nello specifico caso in cui muore esattamente 6 volte di meno dell’altra parte: infatti 492 diviso 82 fa proprio 6 ed i deliri vittimistici sono un notevole indizio di possibili disturbi psichici…

😀 LOL 😀

…poi ve lo riscrivo per la quarta ed ultima volta…

LE MORTI SUL LAVORO NON SONO UN PROBLEMA DI GENERE SE SI PARLA DI NUMERI ASSOLUTI, MA SONO UN PROBLEMA DI GENERE SE SI PARLA DI PERCENTUALI!!!

😀 LOL 😀

…ed una bella categorizzazione con “Professionalmente Donne” a questo articolo non gliela toglie nessuno!

😀 LOL 😀

Ah, un ultimo appunto: gli osservatori attenti noteranno anche il tag “Femminazi”. Come mai? Perchè non puo’ essere altrimenti: erano specificamente i nazisti che attribuivano alla loro categoria (“ariani”) un’importanza assai maggiore delle altre categorie razziali (“untermensch”), e pure in questo caso si ripete lo stesso identico schema di pensiero: un numero di morti 6 volte inferiore nella categoria “ariani” “donne” viene sostanzialmente spacciato come “sintomo di maggiore rischio, e quindi fonte di maggiore preoccupazione” rispetto ad un numero di morti 6 volte maggiore nella categoria “untermensch” “uomini”. Questo non è neanche “Leghismo del sesso” ma va oltre, questa è L’ESSENZA DEL PENSIERO SUPREMATISTA RAZZIALE SESSUALE. Poco importa se chi esprime questo schema di pensiero si dichiari “antifascista” o “di sinistra” o “anarchico” o balle varie: esprime pur sempre uno schema di pensiero nazistoide secondo il quale la vita delle persone assume valore assai differente a seconda delle caratteristiche biologiche (ed immutabili) di nascita. Non è neanche una mera questione di “maggiore valore biologico delle donne in quanto madri”: la preoccupazione resta maggiore per le 50-60enni rispetto ai 50-60enni, anche se le 50-60enni non possono piu’ diventare madri…

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10 thoughts on “Gioco delle Tre Carte: 82 morti è piu’ a rischio di 492!!!

  1. “Non è neanche una mera questione di “maggiore valore biologico delle donne in quanto madri”: la preoccupazione resta maggiore per le 50-60enni rispetto ai 50-60enni, anche se le 50-60enni non possono più diventare madri…”.

    …D’accordo; ma chiediamoci (sempre in termini utopistici e distopici): se UU e DD non fossero nati da donne, se le 50-60enni non evocassero l’immagine materna – che UU e DD nati da utero artificiale non conoscerebbero -, della loro vita/incolumità importerebbe ancora qualcosa a qualcuno?..

    Quanto agli incidenti automobilistici in itinere (che, in effetti, leggo spesso nella cronaca): stanno a dimostrare che le DD guidano con un carico di stress superiore a quello maschile; e il femminismo continua a predicare di investire sempre più sulla carriera… e le DD fanno di necessità virtù continuando a millantare di essere “multitasking” (il che, tradotto nella misera realtà, significa che: fanno troppe cose insieme, e tutte mediocremente).

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    1. Non credo sia lo stress, ma che sia semplicemente questo:
      Le donne lavorano in posti molto meno rischiosi degli uomini, MA la strada che percorrono per andarci invece è la stessa per tutti: non c’è la strada meno rischiosa per donne e quella più rischiosa per uomini, la strada è sempre la strada…stessa cosa se un trreno deraglia o un aereo casca: non c’è il treno delle donne e quello per uomini, e non c’è l’aereo per donne e quello per uomini…scommetto che se scorpori il dato delle persone che guidano molto per lavoro (quasi tutti uomini) i numeri degli incidenti mortali fuori dall’azienda diventano esattamente proporzionali agli occupati maschi e femmine…

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    2. Claudio
      @@@
      Quanto agli incidenti automobilistici in itinere (che, in effetti, leggo spesso nella cronaca): stanno a dimostrare che le DD guidano con un carico di stress superiore a quello maschile; e il femminismo continua a predicare di investire sempre più sulla carriera… 
      @@@

      Probabile, ma a mio parere il motivo principale è un altro, ed è quello relativo alla minor abilità femminile (in media, ovviamente) alla guida.
      https://ilreietto.com/2017/03/10/donne-al-volante/
      @@

      Sorpresa, sorpresa! Le donne sono più “sinistrose” degli uomini. Non credo che la notizia abbia fatto prima pagina, eppure dovrebbe.

      Ebbene sì, le donne hanno sorpassato gli uomini nella frequenza di incidenti stradali causati alla guida di automobili.

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      Vi ricordate quando le compagnie assicurative alzarono i premi maschili per la supposta maggiore “sinistrosità” del vil maschio? Nessuna sfilata delle sacerdotesse della “gender equality” allora, anzi. Semmai la sinistrosità maschile era motivo (ulteriore) di un malcelato senso di superiorità rosa; una retorica che tuttora perdura, per alimentare qua e là qualche ulteriore rivendicazione, di solito dal risvolto pecuniario.

      Ed adesso, che facciamo? Alziamo i premi assicurativi alle donne? Per carità, non scherziamo.

      Ma c’è ancora di più. La notizia vera è che le donne non sono più sinistrose degli uomini da oggi, ma bensì dal 2012.

      Le solite note ora si consumeranno nello spiegare al mondo come il sistema automobilistico, espressione di una società androcentrica, maschilista e misogina, penalizzi lo stile di guida femminile, troppo oberato dal multitasking necessario ad assolvere le infinite mansioni per poter frenare in tempo.

      Intanto notiamo che diviene molto più chiaro il perché del mancato ostracismo delle compagnie assicurative alla recente decisione della Comunità Europea di bandire la “discriminazione sessuale” vigente sul premio assicurativo ai danni degli uomini.  E’ chiaro, o devo spiegarlo? Vabbè lo spiego. Se le compagnie assicurative avessero potuto continuare tale pratica, oggi dovrebbero fare sconti agli uomini (non alle donne) i quali rappresentano il 57% del totale del mercato.

      Comunque sia, è un vero peccato che tal politica non sia più vigente. La gender equality automobilistica avrebbe riscosso il suo salatissimo prezzo ma le donne avrebbero comunque celebrato questa pietra miliare dell’uguaglianza, o no?

      Io devo invece accontentarmi di poco, di una mera sogghignante soddisfazione morale.

      Donna al volante, pericolo costante.
      @@

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        1. https://www.repubblica.it/motori/sezioni/sicurezza/2017/03/01/news/torna_il_classico_donne_al_volante_pericolo_costante_-159487782/
          ———
          Sicurezza stradale, ora le donne fanno più incidenti degli uomini
          di VINCENZO BORGOMEO
          Inversione di tendenza: la frequenza sinistri delle guidatrici italiane supera ormai quella dei guidatori uomini

          01 MARZO 2017
          PUBBLICATO PIÙ DI UN ANNO FA
          1 MINUTI DI LETTURA
          Sorpresa, le donne tornano a fare più incidenti degli uomini: la frequenza sinistri delle guidatrici italiane supera infatti ormai costantemente quella dei guidatori uomini. “Donne al volante pericolo costante”? Giudicate voi: gli automobilisti maschi, secondo i dati ANIA più recenti (2015), sono 14.102.303, cioè una percentuale del 57% sul totale. Hanno causato 797.056 incidenti stradali, con una frequenza sinistri del 5,65 %. Le donne sono 9.131.531, hanno provocato 539.136 incidenti con una frequenza sinistri che ormai ha superato come dicevamo quella degli uomini: 5,90%.

          I dati arrivano da “viapo20”, magazine sul mondo delle assicurazioni, al suo esordio sul web che sottolinea come dal punto di vista numerico la differenza è dello 0,25, mentre la differenza reale è del 4,5%. La svolta è in atto da diversi anni.

          “Il confronto al volante fra uomini e donne – spiegano gli analisti – ha una lunga storia. Nel numero di Aprile 1991, sulla copertina del periodico dell’ACI, “L’Automobile”, comparve il vistoso titolo: “RCA EFFETTO DONNA”. Il sommario diceva:” Le statistiche dimostrano che gli uomini hanno più incidenti del “sesso debole”. E le assicurazioni stanno pensando di far pagare di meno le donne. All’estero già lo fanno. In Francia, dove la percentuale di incidenti è simile alla nostra, hanno uno sconto medio del 14 per cento”.
          All’interno, il giornalista Gianni Franceschi, spiegava: “Sul totale di 227.464 incidenti stradali verbalizzati nel corso del 1989, ben 190.471 sono stati provocati da uomini e solo 36.723 da donne”. Pertanto “10 uomini su 1.000 sono responsabili di incidenti stradali, contro il 7 scarso per 1.000 delle donne”. Ancora più favorevole al gentil sesso il rapporto patente/incidente stradale che scendeva al 3,67 per mille nelle donne, restando pressoché invariato (9,53 per mille) negli uomini”.

          L’inversione però ormai è avvenuta e gli incidenti stradali sono positivamente diminuiti, e ora si torna all’antico, al luogo comume che ha di nuovo una sua validità… Nessuno riteneva che le donne avrebbero completato una sorta di poco virtuosa “lunga marcia”, superando addirittura gli uomini nell’incidentalità stradale…
          @@@

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      1. Inoltre non va dimenticato che camionisti, fattorini, rappresentanti, liberi professionisti, etc, che si muovono sulle strade dalla mattina alla sera sono quasi tutti uomini.
        Le femmine, oltre a non guidare quasi mai dei mezzi pesanti, percorrono (in genere) molti meno chilometri sulle strade.

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  2. Questo è uno scritto vecchio di dieci anni, riguardante il sistema pensionistico italiano.
    Ignoro chi sia l’autore, ma va letto.

    https://ilreietto.com/2014/08/04/pensione-o-tassa-sul-pene-2/
    @@@

    Qualche tempo fa ho realizzato un video per spiegare un po’ come funzionava, e tutto sommato ancora funziona, il sistema pensionistico Italiano.

    Un video prodotto per due motivi; uno di carattere didattico, perché si sappia come funziona il flusso di cassa e rendere il giusto merito alla popolazione maschile per il sacrificio che quotidianamente fa per tenere in piedi la baracca; il secondo perché all’alba della riforma “Fornero”, alcuni (sindacalisti) e soprattutto alcune (ricordo bene la Bonino “i soldi tolti alle donne devono tornare nelle tasche delle donne” e la Camusso “il bilancio dell’INPS è già in pareggio”) alzarono gli scudi contro una riforma che gradualmente innalzava l’età pensionabile delle donne equiparandola a quella maschile. Come si potessero sostenere tali tesi senza provare vergogna è un mistero per me; non ci vuole certo un genio per capire che se una lavoratrice versa contributi per meno anni e gode della pensione per più anni rispetto ad un uomo, il sistema è discriminatorio.

    Viceversa non ho visto/ascoltato nessuno menzionare il fatto che il sistema fosse discriminatorio verso gli uomini, e in buona sostanza permaneva tale anche dopo la riforma. E tanto meno nessuno che abbia alzato la manina e detto “ma perché innalzate l’età pensionabile maschile ancor prima di aver raggiunto la ‘parità’?”

    Ebbene era evidente che non solo mancava il coraggio (gli uomini sono peggio degli struzzi) ma anche la conoscenza “fattuale”, numerica, per capire quanto il sistema fosse discriminatorio verso gli uomini sia sul piano etico che su quello economico. Per non parlare dell’assoluta mancanza di buon senso perché l’impostazione del sistema pensionistico era fallimentare, ed anche dopo la riforma “Fornero” rimane destinato al fallimento economico.

    I contenuti sono ancora attuali. Consiglio quindi la visione/ascolto del video (circa 30 minuti, i primi 3 sono forse noiosi, ma poi il video diviene molto interessante ed informativo) qui sotto e poi proseguire con la lettura.

    https://player.vimeo.com/video/102410404?dnt=1&app_id=122963

    In buona sostanza il sistema pensionistico è congegnato, ed in passato lo era ancora di più, perché gli uomini (anche a parità di stipendio) contribuiscano maggiormente delle donne, e godano di minori anni di pensione, non solo in termini assoluti (perché non si può fare un torto al mondo rosa di vivere di più a lungo) ma anche in termini relativi come rapporto tra anni pensionati e aspettativa di vita.

    Gap Assoluto Pensioni
    Gap Assoluto Pensioni
    Gap Pensioni Relativo
    Gap Pensioni Relativo

    Se poi assumiamo (e penso che si possa concordare) che l’equità su un piano etico si possa realizzare quando il rapporto tra anni pensionati e aspettativa di vita sia uguale per uomini e donne, si perviene al grafico qui sotto che spiega ancora meglio l’”equità” del sistema pensionistico.

    Indice d'equità pensioni.
    Indice d’equità pensioni.

    Dal grafico si evince come il sistema sia stato sempre discriminatorio (zona sopra la riga blu) nei confronti degli uomini e abbia raggiunto il suo massimo dopo la riforma Dini degli anni ’90. Raggiungerà i suoi minimi tra qualche anno quando si perverrà all’equiparazione dell’età pensionabile a 67 anni. Interessante notare che a quel punto l’indice d’iniquità inizierà ancora a salire, invece di scendere, per via del fatto che l’aumento prospettato di età di pensionamento riduce gli anni di pensionamento per uomini e donne, ma la riduzione è più pesante in termini relativi per gli uomini. In tale grafico ho assunto aspettativa di vita fissa a 79 e 84 anni rispettivamente per maschi e femmine, per le ragioni esposte nel video, perché non c’è nessun motivo ragionevole di assumere un aumento significativo di tale età. Nel caso si assumessero aspettative di vita crescenti non cambierebbe la sostanza; la curva avrebbe solo una pendenza meno ripida (ma sempre crescente).

    Sul piano economico il video spiegava come il sistema fosse (ed in buona sostanza è) basato sull’eccesso di cassa maschile per finanziare la mancanza di contributi femminili, nonché la reversibilità, la maternità eccetera. E ciò anche a parità di stipendio. Non ripeto i risultati esposti nell’analisi (del 2012) del video perché grazie alla crisi ci sono alcune novità portate dalla recessione economica, dai coefficienti di conversione adottati nel 2013, e dall’aliquota previdenziale al 33%, che se pur non spostano significativamente la questione, sono degne di nota.

    Ripetiamo la simulazione con uno scenario realistico, assumendo un tasso di rivalutazione del montante pensionistico  (1% annuo) agganciato al PIL e meno ottimistico di quello utilizzato nel video, assumendo:

    • Stipendio uomo maggiore del 50% rispetto a quello di una donna
    • Forza lavoro composta di 59% uomini e 41% donne
    • Aspettativa di vita di 84 e 79 anni Donne/Uomini
    • Incremento medio annuale stipendio 2,5%
    • Contributi previdenziali al 33% del RAL
    • Tasso d’inflazione medio annuale al 1,5%
    • Rivalutazione media del montante di contributi (basto su PIL) al 1%
    • Incremento annuale della pensione al 1%

    Ebbene in questo caso i contributi pensionistici divengono un affare in perdita (in attivo per l’INPS) sia per uomini che per le donne (nel video risultava in perdita solo per gli uomini). Ovviamente le perdite sono differenti perché per gli uomini i contributi (in valore attualizzato) ricevuti durante la pensione sono del 34% inferiori ai versamenti fatti; per le donne la remissione è dell’ordine del 10%.

    E’ ovvio che i versamenti previdenziali debbano essere in perdita, in quanto i versamenti servono ad alimentare altre prestazioni previdenziali oltre la pensione, per non parlare della macchina INPS che da sola pesa per circa lo 0,7% delle entrate correnti dell’INPS. Annualmente circa l’86% delle entrate correnti dei contributi INPS vanno in pensioni, il resto in amministrazione e altro welfare.

    In ogni caso rimane il fatto che la stragrande maggioranza dell’avanzo di cassa necessario all’”attivo” INPS è generato dagli uomini.

    Inutile aggiungere le considerazioni esposte nel video, e cioè che stante il meccanismo pensionistico attuale, all’aumentare della popolazione lavoratrice femminile ed il reddito medio femminile, i conti INPS tendono inesorabilmente al rosso.

    Senza dilungarmi oltre, la pensione è destinata al crack economico, almeno fin quando le donne non andranno in pensione dopo gli uomini o, viceversa, non  pagheranno un’aliquota INPS maggiore degli uomini, o avranno un coefficiente di conversione peggiore degli uomini (come avviene, giustamente, nelle assicurazioni private).

    Figuriamoci, sarebbe un “attentato misogino e patriarcale mirato all’oppressione della donna in quanto donna”.

    Per adesso rimane una tassa sul pene.
    @@@

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